Sulla via della fede
Cenni sulla vita e sull’apostolato di S. Fermina V.M.
Patrona di Civitavecchia e protettrice dei naviganti.
- I LA LUCEadd
Mentre la potenza dei romani, con le sue conquiste, pesava sui popoli dei tre continenti allora conosciuti e gli idoli s’innalzavano ovunque fra quei popoli pagani ove la corruzione e il delitto erano gli elementi quotidiani della vita comune, in un paese della Palestina, a Betlemme, nasceva Gesù. Nasceva colui che; Verbo incarnato; doveva per concezione divina, sconvolgere e rivoluzionare dalle fondamenta sia il sentimento umano, quanto la società; Non più corruzioni, non più delitti, ma amore. Non più ebrei o pagani o gentili, ma figli di un solo Dio, del vero Dio; figli della luce.
Mentre questa novella si diffonde rapidamente per bocca degli Apostoli e dei discepoli di Gesù, che irradiandosi per ogni luogo, predicando la parola di verità, ottenendo conversioni miracolose, fondando comunità e Chiese, dando conferma del Vangelo del Cristo con la vivacità della pienezza dello Spirito Santo, ecco Pietro giungere a Roma e, Pietro designato da Gesù pietra su cui si edificherà la sua Chiesa, gettare la fondamenta del regno di Dio sulla terra e, forte di uno spirito pieno di grazia divina, converte e battezza. Ma sono anche giorni di ansie, di passione e di timori; la persecuzione imperversa furiosa. Chi si professa cristiano é inesorabilmente colpito, tuttavia non mancano proseliti.
Ora è la volta di Paolo giungere a Roma.
Esso con la sua infiammata parola d’ amore invade il campo dei gentili; possiede un’anima di fuoco che non lascia dubbi sulla sua opera. Egli e quel Paolo di Tarso che sulla via di Damasco vide la Luce e udì la Voce ripetergli: “Saulo, Saulo perché mi perseguiti?” e, Paolo, divenire l’Apostolo delle genti.
Questi sono i seminatori, questi i pastori della nuova legge che dara al mondo tanti e tanti martiri e tanti Santi e a Roma eterna il primato della civiltà.
- II L’APOSTOLATO DI FERMINAadd
Nell’anno 297, al tempo dell’imperatore Diocleziano, viveva a Roma, con la moglie Callista e la figlia Fermina, il prefetto Calpurnio, della nobile famiglia dei Pisoni.
La parola di Dio era giunta anche in quella eminente famiglia, Callista, madre affettuosa e pia, aveva educata sua figlia alle virtù cristiane fin dalla tenera età.
Fermina, che a quei tempi aveva quindici anni e il cuore pieno di dolce amore per Gesù, prese tanto desiderio e zelo d’ apostolato che ottenutone il permesso abbandono la casa paterna onde recarsi, per ispirazione divina, al Porto di Centocelle, ora Civitavecchia, per confortare gli esiliati in questo luogo di rinomata deportazione, consolare gli afflitti, animare i deboli e sovvenire gli indigenti non che predicate il vangelo fra il popolo ed i marinai ivi residenti.
È fama che per questo viaggio scegliesse la via del mare partendo dal Tevere con una imbarcazione ove si trovavano altri viaggiatori. Durante questo viaggio una tempesta colse la barca e tutti credevano già a certo naufragio quando Fermina, genuflessa in mezzo alla nave, supplico il Signore e in quell’istante il cielo si rasserenò, cessò la tempesta e giunsero salvi al Porto.
***
Esiste, nei pressi ove ora sorge il Forte Michelangelo, una grotta, la grotta di Santa Fermina, cosi chiamata perché in essa la giovanetta vi abito nei due anni; di soggiorno in Centocelle.
La grotta, nei tempi passati, nel giorno della festa veniva aperta alla pubblica venerazione.
Si dice anche che questa grotta sia stata l’ apertura di una lunga galleria che conduceva fino alla spiaggia di Santa Marinella e che l’eroina la percorresse ogni giorno per portare ora a questi ora a quelli la viva parola dell’amore divino. Infatti non doveva provare alcuna difficoltà nelle sue manifestazioni di fede e di amore questa santa giovane la cui bontà era il frutto delle sue virtù. Naturalmente e da supporre che in quei tempi cosi tristi ben pochi accorrevano alle sue predicazioni e se vi andavano erano i soli esiliati. Poi, ed e ovvio che con lo spandersi della novella, sia curiosi che no, molti andarono e molti furono da Essa condotti a Dio.
Qui è che nasce la grande opera eroica di Fermina, la giovanetta cristiana esempio fulgido di volontà, ispirata da Dio e destinata alla gloria poiché in breve diviene la consolatrice di quella popolazione, la confortatrice, l’aiuto costante.
Essa e divenuta cara ad ogni cuore; la protettrice di ogni famiglia per le sue preghiere accette a Dio.
Ormai non c’è casa che non abbia avuta sufficiente istruzione cristiana e sicura dei frutti della sua missione in Centocelle in Lei nasce il desiderio di portare altrove la predicazione del Vangelo, infatti in una riunione annuncia la risoluzione presa.
Venuto il giorno della partenza accomiatandosi dal popolo prediletto e fra le lagrime dei presenti che la ebbero cara e preziosa Fermina, fa solenne promessa che: “Mai si sarebbe dimenticata di loro e della loro citta”. Quindi, salutati tutti nel nome di Gesù, si allontano sulla via alla volta di Amelia.
- III MARTIRIO E GLORIAadd
Si legge, in una vecchia stampa, che Fermina giunta ad Amelia e ad Agoliano visse vita eremitica, ma senza ristare dallo zelo d’apostolato mostrato altrove lasciando supporre che la santa giovane fosse già sospettata e che i fedeli temendo per Lei andassero ad ascoltare la parola evangelica nel suo eremitaggio ove Fermina rivolgendo loro parole di conforto li esortava coraggiosamente alla fede e all’amore.
L’Annovazzi sostiene invece che Fermina ad Amelia fece vita pubblica di apostolato predicando e vincendo in pubblico e in privato da sembrare un apostolo mandato dall`alto per illuminare quelle anime e salvarle.
Questa vecchia stampa dice ancora che il demonio invidioso perchè una ingenua fanciulla propagasse cosi largamente il Regno di Dio, le apparve di notte tempo per spaventarla; ma tutti i suoi conati a nulla giovarono, Non di meno il destino di Fermina e segnato: fra i fedeli si introducono dei pagani prezzolati che ascoltano tutto quello che la nostra eroina dice ai suoi fratelli di fede.
Secondo gli editti dell’imperatore a quei tempi era delitto divulgare la fede cristiana, cosi colta in flagrante viene da quei facinorosi tradita e denunciata ad Olimpiade prefetto dell’impero ad Amelia, ma esso preso: d’amore per Fermina e per suo amore si fa cristiano con tutta la sua famiglia composta di 158 persone. Risaputo ciò, Diocleziano mando in Amelia Megezio, alto prefetto, con ordini perentori di ucciderle tutti.
Megezio che risiedeva poco distante da Agoliano e nemico dei cristiani nel più tremendo degli odi, accorre subito alla denunzia per interrogare la giovane fanciulla.
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Interessante è l’interrogatorio in cui Fermina splendente di celeste calma risponde con parole di carità e di fede e alla richiesta di offrire incenso agli Dei risponde : Gesù, solo Gesù è il vero Dio.
Irato da questa risposta Megezio comandò che fosse spogliata e avanti gli occhi di tutti, una belva umana a nome Orsicino; la flagellasse.
Ora mentre questi, obbedendo al comando, era per dare il primo colpo, cadde a terra col braccio paralizzato, Fermina, discepola di un Dio che sul Golgota chiedeva al Padre Celeste perdono per i suoi persecutori, prego per lui e lo risanò, a tale miracolo anche Orsicino si fa cristiano, ma Megezio fremette per i trionfi di Cristo in quella giovane e interrompendole i discorsi comanda che le sia, con pugni e sassi, percossa e ferita la bocca.
I carnefici non attendono che questo; quella bocca soave sempre pronta a parole d’amore e di perdono, di fede e di carità, veniva battuta e squarciata. I denti infranti o cadenti, rotte e straziate le gengive, fluire dalla bocca in gran copia il sangue.
Doloroso era vedere la pia Verginella in quello stato, ma ciò, contrariamente, sembrava le avesse ispirato nuovo vigore per le lodi che innalzava a Dio.
Allora Megezio cambiando sistema fece sospendere i tormenti e tutto amorevole e buono esortò nuovamente la giovane ad incensare gli Dei.
Fermina neppure risponde, resta cogli occhi rivolti al cielo. Il suo silenzio è una negazione per Megezio che ancora più: sdegnato comanda la flagellazione con le e verghe di ferro.
Il povero corpicino, sotto quei colpi feroci cadde al suolo. in un Iago di sangue tra gli insulti osceni dei presenti.
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Tuttavia Megezio, sperando che Fermina avrebbe ceduto, fatta portare la Statua di Giove, le domanda se alfine era disposta ad adorarla.
La giovanetta allora si levò da terra e con vivile e misteriosa energia si porta avanti alla statua, vi alita contro e questa cade a terra frantumata.
Furente per questo avvenimento, Megezio comanda una seconda e più atroce flagellazione, mail volto di Fermina e lieto e sereno; sa che la sua vita e per Gesù e che fra poco la sua anima sarà con Gesù e le sue labbra non pronunciano che un nome soave: Gesù, Gesù.
Ridotto quel corpo ormai una piaga, Megezio non si commuove anzi incita i carnefici a batterla con più forza. Ne Fermina da segni di volersi ritrarre. Confuso Megezio nel vedersi vinto da una fanciulla escogita un nuovo e più orribile tormento col quale, secondo lui, l’avrebbe indotta all’adorazione degli idoli o l’avrebbe uccisa. Se Fermina, dopo tanti tormenti, non aveva resa ancora la sua anima bella è perché Dio la conservava in vita per accumulare in Essa un maggior numero di meriti. Ecco, dunque, che Megezio ordina che la santa giovane venga legata coi capelli ad un’alto trave e cosi sospesa fosse lo scherno e il ludibrio dei pagani presenti. Di più comanda che ai fianchi le si aderissero due fiaccole ardenti perché la facessero spasimare fino all’ultimo respiro.
Durante la sua agonia, la quale fu lunga e stentatissima, Fermina aveva gli occhi fissi al Cielo.
Sentendosi prossima al momento estremo, eleva a Dio una preghiera per i suoi carnefici poi raccomandando l’anima sua spira dolcemente.
Il suo martirio avvenne il 24 novembre dell’anno 304 quando cioè aveva appena ventidue anni di età essendo nata in Roma nel 282.
Il prezioso corpo, di notte tempo, venne sepolto fuori di Amelia da Onorio, pio cristiano, e vi restò occulto per circa 6 secoli. Anche Olimpiade e Orsicino furono martirizzati.
- IV VENERAZIONE, GRAZIE E MIRACOLIadd
Mentre avveniva questo orribile martirio dei fedeli corsero a divulgarne la notizia fra tutti i fratelli di Amelia e di Civitavecchia.
Grande fu la costernazione a tale notizia ed è immaginabile pensare quanto sia stato grande il lutto e il dolore fra i fedeli che perdevano in Fermina il Serafino sceso dal cielo per rallegrare e attrarre a Dio tanti cuori.
Già Fermina era il centro dei loro pensieri, ora Essa è il culto.
Essi si rammentano della promessa fattagli e cioé che: “Mai si sarebbe dimenticata di loro e della loro città”, ed elevano mente e cuore, unitamente alla preghiera a Dio, perché le conceda Fermina, loro Santa Patrona.
L’anima della Santa Martire sussulta di gioia e di riconoscenza a tanta manifestazione e da quel giorno è la fedele, l’ausilio, la vigile custode di quelle popolazioni che in ogni momento della loro vita la implorano e le invocano grazie e miracoli.
I marinai la implorano alla partenza e al ritorno dei loro navigli la ringraziano.
Le popolazioni vedono, nei loro difficili momenti, la grazia o il miracolo di S. Fermina sollevarsi dai loro affanni e dalle angustie.
Quando nel 313, nove anni dopo questo martirio, l’ imperatore Costantino, col suo famoso editto di Milano, concesse la liberta alla Chiesa, i fedeli di Civitavecchia e di Amelia venerarono pubblicamente Santa Fermina da rendere di pubblica ragione ogni intervento celeste.
Tanta è grande ormai la fama della santità di Fermina. Che i popoli vicini ne ascoltano attoniti e riverenti i suoi molti miracoli che hanno il potere grandissimo di affascinare e convertire.
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Al Vescovo Pasquale, nell’ anno 870, sconsolato perché ancora non si fosse ritrovato il santo corpo della martire, una notte gli apparve in visione la Verginella che gli dice: “Va ad Agoliano, troverai nel campo che guarda ad oriente quattro cumoli di sassi in forma di croce, scava e sarai riempito di doppia gioia”.
Infatti va e scavato rinviene la salma di Fermina e affianco d’Essa l’urna di Olimpiade. Si può immaginare la gioia dei fedeli che in seguito eressero un Tempio a Dio in onore di Olimpiade e Fermina.
Al tempo di questo avvenimento, il popolo di Centocelle, si trovava sfollato a Leopoli detta anche Cencelle; diminutivo di Centocelle, in ricordo della citta abbandonata per cagione della distruzione saracenica.
Frattanto le vicende di quei tempi continuamente discordi da citta in citta mantenevano quello stato d’animo per cui il ricorrere alla intercessione divina era urgente bisogno di ogni cuore e a questo proposito si potrebbe scrivere un lungo elenco di grazie e miracoli operati in Civitavecchia e altrove per invocazione di questa grande e bella santa.
- V FEDE – CONCORDIA – PROSPEROSITA’add
Dopo questo periodo di lotte e di ansie, vediamo a poco a poco per effetto di fede, d’amore e di perdono subentrare la concordia, la prosperità e la pace.
Siamo nel 1647 e primo frutto di questa comprensione reciproca fu l’arricchire la citta delle preziose reliquie di Santa Fermina per cui quest’anno ne celebriamo il terzo centenario.
Il P. M. fra Giovan Battista Petrucci da Tivoli, predicatore della quaresima in Santa Maria, secondato dal visconte della citta Terenzio Collemodi, chiese al Vescovo di Amelia qualche resto insigne della gloriosa Vergine Martire, Patrona comune delle due città. E poichè fu concesso, municipio e frati organizzarono una splendida festa e il cui ricordo ci è rimasto in una interessante lettera stampata in quella occasione.
Si legge, dunque, che ad un chilometro distante dalla citta fu preparato un ricchissimo altare ricoperto di damasco crimisino, trinato e frangiato in oro ove le sacre reliquie attendevano il corteo per essere accompagnate al Palazzo Regale del Duomo di Civitavecchia.
Corteo immenso; Religiosi, Confraternite, Autorità nonché tutto il popolo.
Quattro principali signori portavano la statua d’argento di S. Fermina, regalo del P. M. Ridolfi e dei signori di Civitavecchia.
Ogni religioso, confratello o cittadino ebbe l’onore di portare una torcia accesa a 3 libbre.
In fine cinque cori con i strumenti musicali chiudevano il corteo.
La processione entro in citta dalla Porta Romana, fino alla Porta della Darsena fra due ali di soldati che riverenti chinarono armi e stendardi mentre un fuoco a salve di mortaletti, artiglierie e cannoni partiva da tutte le galere.
Dalla Darsena la processione si porto alla grotta di Santa Fermina e ritorno dalla Porta Romana fino alla Chiesa di Santa Maria ove le sacre reliquie furono collocate sotto il superbo altare della Cappella di S. Fermina fatta costruire dal capitano e visconte Terenzio Collemodi.
In questa cappella ogni anno si faceva l’estrazione solenne dei magistrati della città.
A manifestare la devozione per S. Fermina, protettrice dei naviganti e a renderle onore, quando le navi di ogni nazione attraversavano il mare alla direzione di Civitavecchia, salutavano con salve di artiglieria, la vergine eroica Fermina.
Da questo periodo in poi hanno inizio quelle manifestazioni popolari che dicono ai posteri la fede adamantina dei nostri padri.
Cosi pure, questa nostra Civitavecchia, fulgida di fede vidde ancorare nel suo Porto le navi vittoriose dei Crociati con l’immagine di S. Fermina sui loro stendardi e recare al suo altare in segno di ringraziamento i trofei della vittoria.
- VI NOVELLO MARTIRIO – NOVELLA GLORIAadd
La cappella di Santa Fermina, la terza entrando dal lato di sinistra, fu la cappella più storica della Chiesa di Santa Maria, per essa i fedeli versavano dei contributi per renderla sempre più ricca e magnifica.
Nel 1929 tu restaurata per conto e iniziativa del comitato permanente per le onoranze alla celeste Patrona il quale offriva anche la lampada votiva a perenne testimonianza di fede e di amore.
Sono questi gli anni felici in cui il P. Raimondo Minocchi e il Prof. Cantalini scrivevano due inni pieni di fascino amoroso posti in musica dai maestri concittadini Domenico De Paolis e Raniero Galli e divenuti di dominio popolare.
Le feste, che dal 24 Novembre data del Martirio, furono portate al 13 Gennaio, Ia ricorrenza del ricevimento delle sacre reliquie, furono ancora rimandate al 28 aprile di ogni anno e al i5 Agosto, in ricordo del ritorno del popolo da. Leopoli (Cencelle) alla città vecchia, i festeggiamenti civili che culminavano con fuochi d’artifici, musica, illuminazioni, fiaccolate, giuochi a mare, getto delle anitre, corse di barche, lotta saracena ecc. con un afflusso di forestieri che tornavano ogni anno entusiasmati e fedeli.
Dopo 17 secoli, quel demonio invidioso della ingenua fanciulla che propagava cosi largamente il regno di Dio con le sue intercessioni, volle scatenare l’uragano della seconda guerra fratricida e mondiale e, al martirio della città, soggiacque, insieme al popolo, l’immagine cara della sua Patrona, unita nella vita e nella morte.
Cosi questa Cappella con la sua Chiesa Matrice di Santa Maria che tante glorie e ricordi custodiva, che ospito Adriano VI tomato dalla Francia, Paolo III per l’impresa, di Tunisi, Sisto V nel 1588, Clemente VIII nel 1597, Innocenzo XII nel 1696 e Benedetto XIV nel 1747 e da Clemente XIII, Pio VII e Gregorio XVI arricchita di magnificenza, venne da un diluvio di bombe colpita e distrutta.
Il popolo come nelle distruzioni saraceniche dové sfollare per altri lidi, ma nel suo ritorno volle, a mezzo dell’attuale comitato far rifulgere la gloria di Fermina col rinnovare la sua immagine e renderle la più grande testimonianza di fede.
… Altri nemici or tentano sotto mentito spoglie, varcar delle inviolabili alme le sante soglie;
Ma Tu patrona e vindice sperdi il lor reo disegno, fa che di Cristo il regno trionfi in ogni cuor.
… quest’è la preghiera degli anni più belli che alziamo a Te stella del nostro bel mar.
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